La piaga degli infortuni sul lavoro. L’ultimo in provincia di Lecco (il primo dall’inizio dell’anno), solo pochi giorni fa. A perdere la vita Daniele Tenderini, 60 anni, di Premana, ex presidente della Pro Loco e operaio di una ditta del paese della Valvarrore. Aveva appena concluso alcuni interventi di sistemazione stradale in Val Biandino, stava scendendo a valle alla guida di un piccolo escavatore quando improvvisamente, in corrispondenza di un ponte, è caduto nel torrente: un volo di diversi metri che non gli ha lasciato scampo.
“E’ in questi momenti, in cui è necessario ribadire che ogni anno scompaiono (per le morti sul lavoro) circa 1200 persone in Italia, si potrebbe dire che un piccolo paese ogni anno viene meno, che bisogna interrogare le Istituzioni su una incomprensibile lentezza nel comprendere l’importanza di garantire dignità ai lavoratori” - spiega Dario Esposito, della Uil del Lario. Secondo uno studio realizzato dalla Uil, Lecco si dimostra una provincia virtuosa nella diminuzione degli infortuni, in termini percentuali il calo è superiore alla media nazionale e lombarda.
Da gennaio a luglio 2023 sono stati 2128, contro i 2844 dello stesso periodo dell’anno precedente (-33,64%). Meno 27,99% in Italia, meno 28.47% in Lombardia, maglia nera a Como con un meno 6,34%. 52.324 gli infortuni in regione nell’industria, 1336 nell’agricoltura. Le donne rappresentano un terzo del totale, il 25% sono giovani sotto i 25 anni (percentuale più alta rispetto alla media nazionale). 97 i morti in Lombardia in sette mesi, uno ogni due giorni. Altro capitolo quello delle denunce per malattie professionali. A lecco sono state 64 nei primi sette mesi dell’anno, con un calo del 6%.
“Di fronte a questi numeri- sottolinea Esposito- è necessario chiedere che fine abbiano fatto i decreti attuativi per rendere esigibili tante delle prescrizioni previste nel Testo Unico sulla sicurezza. L’assenza di questi decreti rende tronche molte delle dichiarazioni di principio e di intenti contenute nel decreto legge: a farne le spese è la sicurezza dei lavoratori. E’ questo che si rifiuta: che i costi sociali di una corsa al profitto e di una pigrizia delle Istituzioni cadano sulla parte debole del tessuto produttivo ossia su coloro che lavorano 6 giorni su 7 per poter semplicemente arrivare a fine mese”