La criminalità organizzata è fra noi lecchesi. E ne siamo consapevoli. Nell’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, Lecco è citata 23 volte. I passaggi riguardano sia le ultime operazioni – vedi l’inchiesta Metal Money – sia la presenza radicata sul territorio della malavita, che si è rafforzata anche alla luce del lockdown. A questo proposito basta citare le parole dell’ex prefetto Castrese De Rosa. “I tratti caratteristici della consorteria malavitosa da anni radicata nel territorio lecchese – si legge - per come emergono dalle inchieste degli ultimi venti anni, risultano, essere stati idonei a formare, all’interno della società civile, quel senso di tacita e remissiva consapevolezza o acquiescenza al fenomeno criminale medesimo e ai suoi referenti”. Il lockdown è stato da subito considerato come un’opportunità dalla malavita e per contrastare. Dunque a Lecco è stato costituito un osservatorio mirato grazie al quale già a giugno 2000 è stata emessa un’interdittiva nei ocnfornti di una società infiltrata che aveva chiesto un finanziamento di 160mila euro. Un’attività di controllo mirata che ha portato risultati citati nella stessa relazione, vale a dire le 21 interdittive antimafia emesse dalla Prefettura di Lecco nei confronti di società che operano in tutti i settori – sale bingo, autodemolizioni, ristoranti, bar e persino pompe funebri.
Nella relazione si parla chiaramente della presenza di cosche legate alla criminalità organizzata calabrese con due locali, una di Lecco e una di Calolziocorte. Famiglie storicamente insediate sul territorio Dalle inchieste emerge un quadro altrettanto chiaro sui settori nei quali operano: spaccio di sostanze stupefacenti, riciclaggio, traffico di armi, sfruttamento della prostituzione e, insieme a componenti di altre nazionalità, reati predatori e immigrazione clandestina. Senza dimenticare il traffico di rifiuti, frode e autoriciclaggio, al centro dell’inchiesta Metal money.